La terra è malata,
proviamo a guarirla.
Inquinamento,
allevamenti e pesca intensivi, consumo del suolo minacciano la varietà delle
specie e la ricchezza anche alimentare del pianeta. La gran parte dei vegetali
che potrebbero alimentarci è già perso. Ma noi consumatori possiamo fare la
differenza e invertire la rotta.
Stiamo
tagliando il ramo su cui siamo seduti.
O meglio: stiamo distruggendo il piatto in cui
mangiamo. La biodiversità che sta alla base dei nostri sistemi alimentari sta
scomparendo, mettendo a rischio il futuro dei nostri alimenti, dei mezzi di
sussistenza, della salute umana e dell’ambiente. Lo dice la FAO,
l’organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura,
avvisando che la biodiversità agricola e alimentare è un equilibrio che – se si
spezza – si perde per sempre.
Ma che cos’è la biodiversità alimentare?
È l’insieme di tutte le piante e gli animali,
selvatici e domestici, che forniscono cibo, mangimi, carburante e fibre. E
anche la miriade di organismi che sostengono questo sistema attraverso la
cosiddetta biodiversità associata. Di cui fanno parte organismi piante, animali
e microrganismi che contribuiscono a mantenere i terreni fertili (come i
lombrichi), impollinano le piante (come le api), purificano l’acqua (come certe
alghe) e l’aria (come gli alberi), e aiutano a combattere parassiti e malattie
delle coltivazioni e del bestiame (come certi insetti).
Dovremmo
anzitutto pensare a questo: che noi italiani abbiamo una responsabilità del
tutto particolare. Il nostro paese possiede la massima biodiversità in Europa;
in particolare, ospita circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di
tutte le specie animali attualmente presenti nel vecchio continente.
Alcuni
gruppi, come alcune famiglie di invertebrati, sono presenti in misura doppia o
tripla, se non ancora maggiore, rispetto ad altri paesi europei.
Questa
ricchezza è però seriamente minacciata e pezzi di essa rischiano di essere
irrimediabilmente perduti. Secondo l’Ispra, Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale, il quadro relativo ai livelli di minaccia
delle specie animali e vegetali sul territorio nazionale è preoccupante.
Le cause?
Buona parte del nostro territorio, come quello
di molti altri paesi industrializzati, è usato intensivamente. Fattori di
pressione, quali il consumo di suolo per nuovi insediamenti civili e
industriali e l’inquinamento, causato anche dagli allevamenti intensivi,
continuano a esercitare la loro intensità sulla biodiversità nazionale.
Anche il cambiamento climatico minaccia la
biodiversità, così come la crescita della popolazione e l’urbanizzazione, cioè
la concentrazione di migliaia di persone in pochi centri urbani. Sono 1020,
circa il 15% del totale, le specie vegetali superiori che ora sono minacciate
di estinzione.
Va peggio
per le piante inferiori, il 40% di alghe, licheni, muschi, felci è in pericolo.
Per le specie animali, la metà dei vertebrati presenti in Italia è minacciata
d’estinzione, circa un quarto degli uccelli sono a forte rischio di estinzione.
A stare peggio di tutti sono gli anfibi: due specie su tre sono minacciate.
E nel resto
del mondo non va certo meglio.
Foreste,
pascoli, mangrovie, praterie di alghe, barriere coralline e zone umide in
generale sono in rapido declino. Le specie di cibo selvatico e molte specie che
contribuiscono ai servizi eco-sistemici vitali per l’alimentazione e
l’agricoltura, compresi gli impollinatori, gli organismi del suolo e i nemici
naturali dei parassiti, stanno scomparendo.
Il rapporto della Fao, che si concentra in
particolare sull’agricoltura, denuncia una riduzione della diversità delle
coltivazioni, un sempre maggior numero di razze animali a rischio di estinzione
e l’aumento della percentuale di stock ittici sovrasfruttati.
Il 75% delle varietà vegetali per la nostra
alimentazione è perso, secondo la FAO. E questo perché oggi il 60%
dell’alimentazione mondiale si basa su tre cereali: grano, riso e mais e spesso
di una sola varietà o poco più.
Non sulle migliaia di varietà di riso
selezionate dagli agricoltori che un tempo erano il cibo delle genti d’Oriente,
non sulle varietà di mais che coltivavano gli agricoltori del Messico.
No. Oggi il
nostro cibo sono pochissimi ibridi selezionati. «La biodiversità è fondamentale
per la salvaguardia della sicurezza alimentare globale, è alla base di diete
sane e nutrienti e rafforza i mezzi di sussistenza rurali e la capacità di
resilienza delle persone e delle comunità», ha dichiarato il direttore generale
della FAO, Jose Graziano da Silvia.
«Dobbiamo
usare la biodiversità in modo sostenibile, in modo da poter rispondere meglio
alle crescenti sfide del
cambiamento climatico e produrre cibo senza danneggiare il nostro ambiente.
Meno
biodiversità significa che piante e animali sono più vulnerabili ai parassiti e
alle malattie -ha aggiunto Graziano da Silva – elemento che, insieme alla
nostra dipendenza da un numero sempre minore di specie per nutrirci, sta
mettendo la nostra già fragile sicurezza alimentare sull’orlo del collasso».
Ma nel
rapporto FAO non c’è solo l’allarmante lettura della situazione attuale.
Qualche barlume di speranza c’è.
Aumentano le pratiche per promuovere la
biodiversità in agricoltura, come il biologico, la gestione integrata dei
parassiti, la gestione sostenibile del suolo, l’agro-ecologia, l’approccio più
ecologico alla pesca: «Tutte cose positive, afferma la FAO, ma bisogna fare di
più: il rapporto invita i governi e la comunità internazionale a rafforzare la
legislazione, creare incentivi e misure di condivisione dei benefici, promuovere iniziative a favore della
biodiversità e affrontare la cause principali della sua perdita». E infine la
Fao si appella ai consumatori, che scelgano prodotti coltivati in modo
sostenibile.
Ricordiamocelo: mangiare è un atto politico.
Tratto da consumatori e responsabilità. Il mensile dei soci
coop, di: Silvia Fabbri.
Nessun commento:
Posta un commento