lunedì 22 luglio 2013

Deltafoto





Non importa se ci abiti, se sei li tutti i giorni, se ci vai quando hai tempo o per passione, se ci vai per studio o alla scoperta, se sei un'esperto fotografo o un dilettante, non vuol dire niente. Solo se ne sei innamorato l'occhio fisserà l'immagine nella macchina, immagine di una tua emozione, una di tante che il Delta regala ogni giorno nelle sue stagioni.
Ph. M. Scarpari

mercoledì 17 luglio 2013

Un bel regalo

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Tra i graditi libri ricevuti in regalo dai miei cari amici, Morimondo di Paolo Rumiz .

Ne riporto un capitolo.

Ombre sulla corrente.

 Dietro alla Dora c’era Saluggia, dove dormivano le scorie nucleari italiane in uno dei punti più a rischio inondazione della Pianura Padana. L’avevo vista per la prima volta sotto un temporale che faceva friggere i fili dell’alta tensione in mezzo alle saette tra le risaie. Avevo tentato di avvicinarla, ma polizia e carabinieri mandavano indietro tutti quelli che non vi lavoravano.
Quel giorno sul fiume imparammo che spesso accanto alla bellezza si annida l’orrore, per chissà quale diavoleria tecnologica, come per attrazione fatale di opposti. Qualche chilometro più a est avremmo trovato anche la centrale atomica di trino, con le sue cupole a pagoda che parevano fatte per i fulmini. Sulla carta risultava spenta, ma il suo cuore pulsava ancora, sotto la sorveglianza di decine di tecnici. Era come se il demonio avesse scelto l’innocenza della natura per costruire le sue tane di tenebra.
Vogavamo in silenzio, dopo il ponte del Crescentino fu un frastuono di uccelli nelle garzaie. Eravamo unici padroni di una bellezza incredibile, ma il mostro vivente abitava li , sotto il gigante himalayano del Rosa. Era stato schedato “grande opera”, con quell’ enfasi babilonica, da piano quinquennale sovietico, che sembrava fatta apposta per occultare gli insulti all’ ambiente. Spesso la grandezza in edilizia è tale solo nella devastazione: e il peggio è che “grandi” manufatti si fanno non la dove è giusto che si facciano, ma banalmente dove le popolazione protestano meno. Si scelgono i punti di minor resistenza. Era accaduto nel Vercellese, che si era visto infliggere quel regalo solo i reggitori della cosa pubblica avevano saggiato la bassa conflittualità sociale del territorio. I piemontesi sono obbedienti, ma i vercellesi sono i più obbedienti degli obbedienti, e l’Italia li premiava col rischio permanente di una catastrofe (storia già sentita vedi le genti del Delta del Po e la centrale termoelettrica di Polesine Camerini ndr).
L’incubo rese ancora più lancinante la percezione della bellezza che da quel punto in poi si disvelò. Eravamo sotto le colline del Monferrato, e su quel lato il fiume formava ampi calanchi grigi sotto il campanile di un villaggio di nome Cantavenna. Dalla parte opposta, a Nord, un greto a pelo d’acqua luccicava di ciottoli come un branco di pesci vivi. Era il passaggio che Angelo (Angelo Bosio 2 risalite a remi del Po  ndr) ci aveva già magnificato come Rocca delle Donne. Tirammo le barche in secca e ci tuffammo in un’acqua veloce e traslucida di mica come velluto. Quella sera dovevamo arrivare fino al ponte di Trino, dove amici torinesi ci aspettavano per le decretabili operazioni di trasbordo, ma non ne avevamo nessuna voglia. Eravamo ancora soli e padroni del mondo, e in quella pace il corpo si ribellò e chiese requie.
Steso su isolotto di ghiaie pensai a un tavolo da osteria, di quelli di una volta, con le gambe piantate nella corrente. Gli vidi intorno, sei seggiole,, una tovaglia immacolata e una bottiglia di Ribolla gialla del Collio. I nostri piedi si erano immersi nell’acqua bassa a filo di ghiaia. Angelo e Alex brindavano alla salute della acque italiane, poi vidi un cameriere entrare nel fiume con le braghe arrotolate al ginocchio e piazzare a centro tavola un piatto con spaghetti alle vongole. Ero nel regno dei sapori di terra e tutto li intorno, a due passi dalla Francia, parlava di buon vino e formaggi, eppure nulla di piemontese mi passo per la mente in quel menù chiamato desiderio. Sentivo il mare a cinquecento chilometri dalla foce.
Navigando verso Trino col vento contrario, vedemmo a distanza un’isola che poi, a duecento metri, si svelò un impressionante assembramento di marangoni. Migliaia di uccelli, che si spostarono di malavoglia quando fummo loro vicini. E poi anatre, garzette, aironi cenerini e pattuglie di oche selvatiche in volo sull’autostrada d’acqua. La meraviglia sta alla base della filosofia, scrisse non so dove Platone, e la vicinanza con quegli uccelli liberi mi rese ancor più felice. Ogni specie aveva la sua rotta, la sua quota, la sua tecnica di volo.
Ma ebbi un tuffo al cuore. Non c’erano le cicogne. Rividi il Danubio e il Morava, dove avevo sentito mille volte il colpo secco e ripetuto dei loro becchi. Qui nulla. Gli uccelli portatori di fortuna, su cui neanche i cacciatori sparavano, avevano abbandonato l’Italia. Lo senti segno di malaugurio e mi chiesi se anche quel traffico pazzesco di volatili sul Po fosse sintomo di salute o piuttosto di abbandono da parte degli uomini. Valentina raccontò della Drava, dove tutto era il contrario del Po, l’acqua era trafficatissima, non deserta come quella. Un fiume senza guardrail e muri di cemento, ma da foreste immense e labirinti di terre strade sterrate.  I fiumi slavi sono più vissuti dei nostri” disse. Vedi passare canoisti, poi un pescatore con un cappello di paglia, poi una nave da carico, con la cuoca che ti guarda dalla finestra, poi una nave passeggeri che sembra un frigorifero con tanti vetri e la gente e mangia. Ci sono anche molti animali in più. Una volta ho visto nello stesso istante due canoe, una nave passeggeri, una da trasporto e due aquile. Senti proprio la via d’acqua che collega posti diversi. Qui invece hai la sensazione di stare in un deserto, anche a due passi da una città.” Il Po è un’anomalia italiana. Torino a parte non attraversa metropoli. Oltre le Alpi hai Vienna, Budapest; Belgrado, Parigi, Colonia … E qui? Al massimo Piacenza e Cremona. E anche se ci passa vicino, quasi non lo vedi, tanto è alto l’argine che lo potregge.
Valentina ci segnalò,. A nord di Trino, un posto chiamato Bosco delle Sorti della Partecipanza, dove uno scampolo di terra comunitaria veniva gestito secondo criteri antitetici allo sfruttamento capitalistico. Anche quella era un’anomalia italiana, ma in positivo. “E come un’isola in mezzo alle risaie,” disse. “ In antico la foresta era sacra a un dio. Forse ad Apollo, ed è tra i pochissimi lucus sopravvissuti alla distruzione. In cinquecento ettari contiene quattrocento alberi diversi. Viene gestito sulla base di una legge creata nel 1202 e mai modificata.”. Quell’anno il marchese di Monferrato concesse l’uso collettivo della foresta e un gruppo di famiglie, dette partecipanti. “ I loro discendenti esistono ancora,” disse Vale “e la loro presenza nella zona è così continua che alcuni anni or sono vennero fatti su di loro alcuni studi genetici, di quelli che fanno sulle popolazioni rimate isolate come i pastori della Barbagia o i Baschi a sud dei Pirenei.”  

   

domenica 7 luglio 2013

La "Rovra" di San Basilio

Niente di mio pugno ma un copia incolla di quanto  scritto  da due carissimi amici con cui condivido in pieno il pensiero. Tra le mille polemiche e assurde manipolazioni politiche spero che questo nostro pensiero contribuisca ad illuminare e placare gli animi.

La “Rovra”, come è nota agli abitanti del Delta del Po, è un vetusto esemplare di quercia farnia (Quercus robur) che domina l’argine del Po di Goro, nei pressi di San Basilio. Si tratta verosimilmente dell’albero più antico dell’intero Polesine, avendo un età stimata di circa 500 anni, ed è probabilmente la sola pianta che rimane di un’antica foresta che si estendeva nell’area. Molto nota in tutta la zona, la Rovra è considerata un vero e proprio monumento nel territorio ed è meta continua di visite da parte di turisti e locali, che ne ammirano la maestosità e il valore simbolico, tanto che nel corso del tempo è diventata oggetto di numerose leggende. 






Colpita da un fulmine nel corso degli anni ’70, la Rovra è oggetto di cure mirate alla sua conservazione dal 1995.









Nella notte tra il 24 e il 25 giugno 2013, la Rovra ha ceduto di netto, forse irrimediabilmente, lasciando uno spazio vuoto nell’orizzonte di coloro che l’hanno amata e che amano questa terra (fonte: Ente Parco Regionale Veneto del Delta del Po).


di Eddi Boschetti (tramite ML interna WWF Rovigo)

Carissimi,
queste sono alcune foto della quercia di San Basilio scattate oggi poco dopo il suo schianto.
Le sue radici, fortemente compromesse non erano più in grado di sostenere il peso dell'albero, già sbilanciato a seguito dei fulmini che lo colpirono in passato alterandone la simmetria.
Molto è stato fatto per sanarlo, ma gli anni e gli eventi atmosferici hanno fatto la loro parte. Non c'era niente da fare. Per giorni l'inclinazione è stata progressiva fino allo schianto finale.
Il Delta e il Polesine perdono un autentico monumento, ultimo superstite della foresta primaria planiziale, emblema di un territorio che ha costruito la sua stessa storia a colpi di bonifiche e deforestazioni. Vedere oggi tanta gente commossa portarsi al suo "capezzale", pur fra tanta tristezza, mi ha acceso un barlume di speranza per il futuro. In fondo "La Rovra", così la chiamano da generazioni gli abitanti del Delta, è tra i pochi alberi polesani ad essere morti per cause naturali. E' stata decisamente più fortunata dei tanti altri che ogni giorno cadono per lasciare spazio alla meccanizzazione agricola, a nuove strade inutili, per alimentare centrali inutili, ecc. A loro non sono concesse processioni di gente commossa.
Per quanto la morte di un patriarca vegetale possa rappresentare in sè un evento denso di sincero rammarico, non lo dovrebbe essere più della "condanna a non invecchiare" a cui è tutt'oggi sottoposta la maggior parte del patrimonio arboreo del nostro territorio.
Anche le generazioni future avranno il diritto di piangere la loro "Rovra". Fare il possibile, nel breve e tempo concesso alla nostra generazione, per difendere questo diritto, è il modo più coerente per ricordare un grande albero che ci lascia.



















di Danilo Trombin (su REM)


Sono passato lì accanto proprio il giorno prima che si adagiasse per sempre, forse, sul crinale dell’argine del Po di Goro. Come d’abitudine, scrutando a destra e a sinistra in cerca dell’Averla cenerina, ho posato lo sguardo anche sulla sagoma possente della Rovra, che è sempre stata un elemento rassicurante, nella mia memoria, nel piatto panorama circostante della pianura bassopolesana… sapevi che c’era sempre, e che era là…
La Rovra era veramente un qualcheccosa di speciale, era quel quid in più che rende unico un territorio, era lo schiocco di dita che rende reale una magia…
La Rovra era una di quelle pochissime cose di cui, senza mai averla vista, senti parlare in maniera mirabolante, e provi a immaginare com’è fatta, quant’è grande, cosa ti darà il giorno in cui avrai la fortuna di ammirarla… poi quel giorno arriva, e scopri che, con la sola immaginazione, mai saresti potuto giungere a concepire una simile creatura… gli aggettivi si sprecano… quando ti sei trovato a tu per tu per la prima volta, rimani almeno un minuto a bocca aperta, a guardare all’insù… quanti rami… quante foglie… quanta chioma… mica l’avevi immaginata così… così potente… così evocativa… così fuori dal tempo… così eterna…
poi senti il bisogno di correre giù dall’argine, verso il tronco, per vedere quanto è grande, e la prima cosa che ti vien da fare è abbracciarlo, quel tronco, guardando ancora verso l’alto, rimanendo questa volta senza fiato, attaccato alla corteccia di uno degli esseri viventi più grandi che probabilmente avrai la fortuna di toccare in vita tua…
Pensi a Dante Alighieri, che vi si è arrampicato sopra, a Napoleone Bonaparte, che l’ha ammirata al pari tuo, passandoci accanto, cerchi l’entrata della casa dello gnomo che la abita, e che sicuramente deve essere qui, da qualche parte…
Quando il giorno dopo averla vista lì, saldamente al suo posto, ho appreso dai social network che invece la Rovra si era irrimediabilmente accasciata, forse per sempre… dopo il grande dispiacere iniziale, ho cercato informazioni, ho seguito i requiem dedicati dalla folta schiera di ammiratori di questa pianta monumentale… un mio amico, ad esempio, è andato a raccogliere le ghiande per far nascere i figli della Rovra…
ora, io non so se il gigante verde si sia accasciato per colpa di qualcuno, se non è stato curato a dovere, o cosa si potrà fare con tutto il legno che ne costituiva il tronco, se darlo a un artista col compito di creare un’opera che onorerà la memoria della Rovra… non so rispondere a questi quesiti, non ne so abbastanza, anche se capisco le voci di coloro i quali si sono arrabbiati…

però certe volte ho visto grandi alberi piegati dalle intemperie, dall’età, dai parassiti, fino a stendersi al suolo… e lì continuare a vivere, trasformando i loro stessi rami in nuovi tronchi protesi verso la luce… magari se aspettiamo un po’ le foglie non avvizziscono, magari il gigante è solo stanco, e si è adagiato sull’argine per riposare e faticare di meno… credo che domani ripasserò a guardarla.

Ecco invece dal libro " I GRANDI ALBERI della Provincia di Rovigo" 39 alberi monumentali del Polesine stampato nel 1989 a cura di due altrettanti grandi querce dell'ambientalismo Polesano (M. Benà e G. Benetti) la scheda descrittiva "L'albero più bello e più vecchio del Polesine". 


Scheda n. 16



LA QUERCIA DI SAN BASILIO

Nome scientifico della specie: Quercus robur L. 
Nome comune; Farnia
Località: S. Basilio - Via Po inferiore
Altitudine s.l.m.: 2 m.
Comune: Ariano nel Polesine
Coordinate topografiche. Tavoletta i.G.M. : Ariano nel Polesine F.° 77 IV N.E. 33T TK 761 804
Ubicazione e descrizione del luogo: la pianta vegeta accanto all'argine sinistro del Po di goro, nei pressi di campi coltivati.


Rilievi dendrometrici:

Circonferenza a 1,3 m: 6.15 m
Altezza dell'albero: 26 m
Ampiezza della chioma nelle quattro direzioni: Nord 11 m - Est 12,50 m - Sud 11 m - Ovest 10,70 m
Età presunta: 450 anni
Note. il fusto si dirada in 3 grosse branche principali, la chioma è rada.

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Condizioni fitosanitarie: discrete: Sul fusto è presente una profonda ferita provocata da un fulmine 10 - 15 anni fa. Si notano vari rami secchi, che andrebbero asportati.
Destinazione: ornamentale
Classi di segnalazione: A1, A2, A3, A6, A4a

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Propietario: geom Fraccon - V.lo S. Spirito 4 - Adria (RO)
Data della rilevazione: luglio 1985
Rilevatore: Massimo Benà
Altre note: si tratta di un albero monumentale