Dove erano finiti i 300 aborigeni Jarawa, il
giorno dopo il grande maremoto di Santo Stefano del 2004 in
Indonesia? Questa è la
domanda che si posero gli organi di stampa
internazionali appena dopo il disastro, perché si è subito creduto che
quelle popolazioni fossero state annientate, a testimonianza di un'evidente,
supposta connessione fra l’entità
del danno e il minor grado di sviluppo
tecnologico.Nel delirio contemporaneo,l’uomo occidentale è portato a pensare -
possedendo un telefono o un televisore - di poter controllare gli
elementi naturali.
Così i 40 Grandi Andamanesi della Strait Island, i 100 Onge
delle piccole Andamane, i 250 Shompens della Grande Nicobar o i 250
Sentinelesi di North Sentinel Island che costituiscono la tribù più primitiva
dell’intero pianeta Terra -, sono stati dati per spacciati: del resto, come
potevano farcela se vivevano isolati e immersi in un contesto naturale eccessivo?
Eppure a pochi giorni dal più grave maremoto che
si ricordi i voli di ricognizione sulle isole riscontrarono diversi
sopravvissuti sulle spiagge: erano gli aborigeni che, vivendo d’abitudine nelle zone
interne, hanno compreso più di molti occidentali e degli indocinesi come
si fa la vera prevenzione.
Non sarà che i “primitivi” vivono solo nell’interno
perché conoscono bene l’Oceano? È una verità difficile da
ammettere, perché implica - se loro hanno ragione - che qualcun altro si sbaglia nel
rapporto con il mare: i Jarawa si sono salvati tutti, tutti salvi gli Onge e i
Grandi Andamanesi. Quasi nessun nativo perse la vita per lo tsunami, mentre
furono decine di migliaia i morti fra gli occidentali e gli abitanti delle
coste.
Perché?
Chi ha tramandato (oralmente, forse bisogna
sottolinearlo) la memoria del pianeta e del mare, sa che le maree
quotidiane si contano e quando ce n'è qualcuna fuori tempo, forse è il caso di
ritirarsi nell'interno. E, per lo stesso motivo, sa che lungo quelle coste non si deve
vivere, casomai pescare o prendere il sole, ma non abitare o dormire.
Perché lo tsunami non è un fatto raro, come ci è sembrato nel 2004, quando
sembravamo scoprirlo per la prima volta. Solo negli ultimi duecento anni,
se ne contano alcuni catastrofici,
come nel 1797, nel 1843 e nel 1861, per non
parlare di quello del Krakatoa nel 1883. Quegli uomini hanno conservato la memoria
della Terra tramandandola a voce, mentre noi la dimenticavamo negli
hard-disk dei nostri computer.
Il caso del grande maremoto di Sumatra del
2004 è esemplare. Molti di quei 230.000 morti potevano essere evitati da un sistema
d’allerta efficace e da un’educazione responsabile, che
ricordasse il rapporto che le popolazioni costiere del Sud-Est asiatico
avevano originariamente con la madre Terra. Invece aver affidato alla sola
tecnologia il futuro del pianeta non è stato garanzia di successo, anzi: lo
tsunami di Santo Stefano del 2004 dimostra che sentirci al sicuro peggiora solo le cose.
Di Mario Tozzi
tratto da : Consumatori il mensile dei soci coop.
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