lunedì 2 dicembre 2019

La stalla come la chiesa


Di: Michele Rigoni

Assistiamo quotidianamente allo scomparire in un timelapse in tempo reale, delle maestose corti di campagna, dei fienili e delle stalle che erano un tempo parte dell'orizzonte e del panorama emotivo.
Stalle costruite con la stessa cura e l'accortezza di Chiese, in un impianto architettonico del tutto simile ad un tempio cristiano, con due o tre navate, capriate palladiane per le ampie luci, paraste e capitelli, cornicioni decorati e arcate, con soluzioni in cui c'è molto più che semplice funzionalità costruttiva,
La Stalla era il tempio del quotidiano per sei dei sette giorni della settimana, lì si officiava ad ogni alba la comunione della sopravvivenza.
La Stalla come la Chiesa, era il fulcro della vita e pertanto come tale andava celebrata, anche con la devozione della bellezza.
Tanto è evidente questo stridente contrasto quando lo sguardo si posa sulla molto più umile casa colonica adiacente, contenitrice di semplici uomini, per loro natura sostituibili, caduci, non sacri, meri strumenti. Senza concessioni superflue.




Foto di davide Rossi tratto da http://www.brancoottico.fineartlabo.com/casolari-delta-del-po/

Chiaramente si vede infatti, come nella edificazione di questi ampi edifici dedicati all'allevamento o alla conservazione dei foraggi, vi fosse impastato con i materiali costruttivi anche l'amore e l'orgoglio per il proprio "fare quotidiano", per gli sforzi che divenivano futuro e segno del passaggio delle generazioni nel mondo, con armonico inserimento nella natura e nel "tutto", in una sintesi pangenica tra: uomo-animali-territorio e sacro, che trova il suo esatto opposto nella becera edilizia degli spogli capannoni del secolo breve. Dove il bello, non aggiungendo alcuna utilità al guadagno, non rientra più tra le opzioni ammesse.
Dove non c'è alcuna concessione ad altro che non sia il monoteistico idolatrato profitto. Dove è chiaro che non si ama ciò che si fa ma si ama sterilmente solo quel che può rendere. Nella totale dicotomia con l'ambiente che non è più "casa comune" ma spazio di nessuno da occupare, sfruttare, in cui versare scarti materiali e scarti di umanità. Se le vecchie corti si potessero salvare, non si salverebbe solo un edificio, si salverebbe quello che rappresentano: un mondo, una cultura, un approccio al territorio equilibrato che arrivava dal "de agricoltura" fino a mio nonno. In cui la natura era madre con i suoi ritmi e stagioni e non sgualdrina a ore.



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