sabato 24 novembre 2012

NEGRI?… NERI?… DI COLORE?… DI CARNAGIONE!!! Storie di adozioni e pregiudizi

Scritto da Rita Benzoni e Vanni Destro.
Con l’acquisto di questo libro,attraverso l’associazione Mehala alla quale gli autori hanno ceduto tutti i diritti, si va a finanziare la costruzione di un centro medico sanitario e maternità e di alloggi per medici e infermieri nel villaggio di Bilogo, Burkina Faso. I racconti sono ispirati da fatti reali di cui gli autori hanno fatto il possibile per renderli un po’ ironici e di piacevole lettura.
Se pensate che i racconti possano non piacervi ma pensate che il progetto vale comunque la spesa di 10 euro (se offrite di più non si offendono) acquistate il libro anche se poi lo usate solo per pareggiare la gamba di un tavolo sbilenco.

Il libro è disponibile e ordinabile direttamente alla sede di MEHALA a Merate, oppure via email all'indirizzo: cooperazione@mehala.org.

Di seguito un paio di estratti dai racconti contenuti nel libro.  
da CARNAGIONE 

Ginetta e Clara erano amiche d’infanzia.
Coetanee, nate durante la guerra, erano cresciute nella miseria e questo aveva rafforzato l’amicizia e la solidarietà.
A dividersi una patata “merica” tra bambini, in quei tempi di micragna, significava diventare fratelli di sangue.
Ginetta era una donnina esile e minuta mentre Clara era tarchiatella con due polpacci da fare invidia ad un ciclista.
Quando passavano in paese, la prima su una Graziella degli anni ’70 mulinando velocemente sui pedali per inseguire l’olandese da 25 chili sulla quale Clara paonazza spingeva un rapporto lungo, i vecchietti davanti al bar dicevano: “A passa Coppi e Bartali” anche se sul ponte della ferrovia Ginetta doveva scendere e andar su a piedi che non ce la faceva.
Avevano sposato due fratelli, Primo e Giuseppe Padoan, che erano venuti a mancare qualche anno prima per un brutto male, come si dice da queste parti.
Il dottore diceva che era colpa del vino e del fumo, ma se Primo qualche ombra se la faceva, nè lui né Giuseppe avevano mai fumato neppure una cicca, nemmeno quando da ragazzini si vuol sembrare adulti.
Qualcuno indicava quel camino alto alto da cui usciva un fumo giallastro, quando si registrava un altro brutto male, ma un po’ così, abbassando gli occhi, che la società elettrica un po’ di lavoro l’aveva portato in paese, anche Primo ci aveva lavorato, e i tempi erano duri e c’erano figli da crescere e mandare a vivere altrove possibilmente.
Così Ginetta e Clara vivevano sole, adesso che i figli maritati si erano trasferiti in altri posti, e mica si lamentavano.
Avevano lavorato una vita, dopo la quinta elementare.
Clara in campagna tra frutteti e orti, Ginetta , gracilina, aveva “studiato” taglio e cucito, si considerava l’intellettuale delle due e a casa sua non mancavano mai Grand Hotel e Oggi.
Adesso con un po’ di pensione e la reversibilità di quelle dei mariti campavano benino.
Amavano la tombola e farsi due giri di “lissio” al centro sociale della parrocchia o alle sagre quando potevano, ma la loro massima passione era ritrovarsi, con altre aspiranti perpetue, in chiesa a far le pulizie e accudire Don Giosuè, il prete barbuto che aveva fatto per cinque anni il missionario in Africa.
Questo riempiva le loro giornate anche perché era il momento di socializzazione che si traduceva nel ciaccolare degli avvenimenti paesani: i nati, i morti, i separati, eccetera.
E la novità assoluta di quei giorni era che il figlio di Filippo Bosco, un agricoltore che la Clara conosceva bene perché ci aveva lavorato per anni nel periodo dell’aglio, aveva adottato due bambini.
Gianni Bosco, un ragazzo socievole, ma sempre troppo impegnato in politica.
Aveva sposato una moglie foresta e adesso aveva adottato due bambini neri neri.
“Sai Ginetta, sembra siano proprio scuri, ma tanto bellini” – raccontava Clara all’amica – “Io li ho mica visti, ma il fornaio, che va li tutti i giorni, dice che sono simpatici, sorridono sempre e assomigliano anche un po’ al papà”.
“Ma dai Clara, ti pare che possano assomigliare a Gianni se sono negri?” – rispose Ginetta – “Ma lo sai che anche quella cantante, la Madonna, ha adottato dei bambini negri, E anche Bradpitt e l’Angelina mi pare….”
continua…..

da GRIGO 
………
Il bimbo gracile era sempre uno spilungone, dava almeno dieci
centimetri ai suoi coetanei, ma si era irrobustito e si avviava a
diventare, sulle orme del padre, una seconda linea tosta e dinamica.
Così adesso erano li allo stadio intitolato a “Mario Cima
Bersaglieri”, colui che aveva introdotto il rugby in Italia, per la
partita coi cugini padovani che era l’evento clou ogni anno.
L’uomo a cui era intitolato lo stadio era considerato un semidio negliambienti rugbistici polesani.
Una storia da eroe di Jack London, aveva vissuto tra gli anni trenta e
la seconda guerra mondiale in Inghilterra dove aveva fatto i lavori
più disparati: marinaio, muratore, metalmeccanico, minatore,
maniscalco ecc. ecc., aveva esaurito tutti i lavori con la m e nel
frattempo aveva preso due lauree, in medicina e storia dell’arte.
Di lui circolavano leggende stupefacenti
Si raccontava che una volta avesse sollevato un cavallo per
controllare se era ferrato come si deve o che avesse trattenuto a
forza un treno in partenza quel tanto che bastava a far salire i
compagni di squadra in ritardo. ma anche che fosse di un’educazione
squisita e che, dopo aver sconquassato le mischie rivali, si scusasse
con gli avversari con un inchino.
Un mito, insomma, e giocare sotto quell’egida caricava di
responsabilità ed orgoglio e Grigo, così come era stato per Beniamino, se ne sentiva davvero fiero.
L’incontro tra le giovanili anticipava, come consuetudine, quello tra
le squadre maggiori.
continua……



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